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Il Castello

 

 

Ingresso del Castello Belgioioso

Ingresso del Castello Belgioioso

 

E’ il centro sociale e culturale della vita del borgo e le sue vicende sono strettamente legate a quelle delle dominazioni che si sono succedute sul territorio. Dopo aver distrutto un precedente centro incastellato durante gli scontri con la città di Milano (1158), l’imperatore tedesco Federico I detto il Barbarossa, consapevole dell’importanza strategica di San Colombano, decise di ricostruire il Castello nel 1164.

Il complesso subì nel tempo numerose trasformazioni e rimaneggiamenti, in base alle esigenze dei proprietari che si susseguirono nei secoli: dai Visconti-Sforza (che alla fine del Trecento concessero i proventi del feudo e del Castello banino ai Certosini di Pavia, divenuti in seguito proprietari effettivi, fino alla soppressione dell’ordine nel 1782) fino ad arrivare ai Belgioioso, che fecero del castello la loro residenza signorile.

Castello - stemma visconteo

Castello – stemma visconteo

 

Nel 1951, alla morte dell’ultima proprietaria, Maddalena Barbiano di Belgioioso d’Este, il complesso passò all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che però decise per la vendita a privati. Ritornato all’Università Cattolica, esso fu infine venduto alla Parrocchia di San Colombano e alla famiglia attualmente proprietaria della rocca. La parte posseduta dalla Parrocchia fu acquistata dal Comune negli  anni Ottanta.

La struttura del castello è tuttora divisa in due parti: il ricetto, ossia la zona in cui si svolgeva la vita civile, e la rocca, la parte militare, posta in alto sul pendio collinare (quest’ultima attualmente è di proprietà privata). Oltre alla suggestiva passeggiata nel parco che si snoda lungo le mura, all’interno del castello sono inoltre visitabili alcune stanze signorili, allestite all’epoca dei Belgioioso, ma ancora recanti tracce delle epoche passate.

RICETTO sec. XIII

Era il luogo destinato ad ospitare le abitazioni della popolazione e si estendeva all’interno delle mura del castello.
Ricetto deriva dalla parola latina receptum, che significa recepire, ricevere. Era un luogo sicuro, essendo cinto di mura, che proteggeva la popolazione e le sue scorte alimentari dalle minacce esterne.
Tra il 1402, anno dell’insurrezione dei banini al castello, e il 1416, il castello viene descritto in uno stato di anarchia: infatti all’interno del recinto del ricetto vennero costruite circa trecento casupole in legno e paglia senz’ordine e senza decenza appoggiate alle mura della fortezza.
Le abitazioni del ricetto sono cresciute nei vari secoli fino a saturare completamente gli spazi del secondo recinto del castello, anche sfruttando le volte che sostenevano il cammino di ronda. Si trattava di abitazioni semplici di uno o due piani, o con dei soppalchi interni, con pochissime finestre o anche solo una porta ed erano realizzate in mattoni cotti o di terra cruda; i tetti erano in paglia oppure in coppi.
I numerosi edifici erano abitati soprattutto da artigiani e agricoltori; vi erano inoltre l’abitazione del fittabile certosino e gli edifici usati dal castellano. Nel ricetto si trovavano pozzi (uno di questi è ancora visibile nell’attuale parco), stalle e cascine con torchi (cassine a torcularia), piccoli forni.
La gran parte di queste strutture fu demolita a metà XIX sec. dalla famiglia Belgioioso per realizzare la corte interna e il parco della propria residenza. Un’altra parte è stata distrutta a fine anni ’50 per realizzare la strada che collega l’entrata al ricetto con la villa che è stata costruita all’interno della rocca.
La piccola porzione dell’antico ricetto conservata rimane comunque uno dei pochi esempi di ricetto ancora esistenti in Lombardia.
L’abitazione del fittabile certosino è ancora visibile nell’edificio a ridosso delle mura est del castello, appena entrando dalla torre d’ingresso. Qui risiedette il fittabile durante il XIV e il XV secolo: si trattava di un’abitazione signorile di numerose stanze con camini, bagni, una cantina e sottotetti con funzione di granai.
Le abitazioni del castellano invece occupavano l’attuale area ora adibita a corte: si trattava di abitazioni connesse al sistema difensivo e in particolare alla torre de’ Gnocchi (Castellana). La torre era un luogo centrale del ricetto, sia per la sua posizione dominante, sia per la sua funzione civica ed istituzionale, ospitando il consiglio comunale già dal 1416 circa. Era inoltre una torre-forziere fornita di una grande cantina contenente quattordici botti, e di un ampio granaio nel solaio all’ultimo piano.

 

MONTE DI PIETA’ 1593

Nel 1565 fu decretata la cacciata degli ebrei dal castello, accusati di usura. Al fine di aiutare i banini bisognosi di prestiti, nel 1593 l’allora parroco don Colombano Baruffi (nel tempo storpiato in Baruffo) si fece promotore della fondazione del Monte di Pietà, con sede nel ricetto. L’istituzione venne insediata in un edificio preesistente del ricetto, in una posizione molto visibile e accessibile a tutti (entrando dalla torre d’ingresso al ricetto si trova subito a sinistra).
Il Monte di Pietà fu attivo fino al 1943, quando fu assorbito dall’Istituzione delle Opere Pie.

 

Castello - Torre De' Gnocchi

Castello – Torre De’ Gnocchi

 

Castello Percorso

Il Castello – Le Sale Nobili

LE SALE NOBILI

La galleria d’armi
Si tratta dell’atrio alla residenza principesca della famiglia Belgioioso. Le cinque campate dell’ambiente sono decorate in stile neogotico. La sala venne utilizzata dalla famiglia Belgioioso per riporvi tutte le armi rinvenute nelle varie torri del castello. Il portale in legno situato a sinistra dell’ingresso presenta nel falso sopraluce un bassorilievo in cotto raffigurante l’assedio al castello da parte di Ludovico Belgioioso nel 1529, avente intento celebrativo della famiglia. Sul pilastro a sinistra dell’ingresso principale è in parte visibile lo stemma dei certosini. Appese alle volte vi sono le due catene in ferro del ponte levatoio della torre d’ingresso al ricetto. Il pavimento posato a scacchiera è realizzato con lastre di marmo bianco e nero. La galleria si conclude con uno scalone in pietra che porta alle sale più importanti del palazzo.

Galleria d'Armi - ingresso

Galleria d’Armi – ingresso

Galleria d'Armi

Galleria d’Armi

 

L’antisala
Questa piccola stanza, con soffitto a cassettoni in legno dipinto e pavimento in legno, aveva funzione di disimpegno. Nonostante la funzione poco importante le decorazioni parietali e la ricchezza decorativa del soffitto le donano un’immagine signorile ed elegante. Agli angoli del soffitto sono presenti gli stemmi della famiglia Belgioioso e degli altri casati che si sono succeduti nella proprietà del castello.

La sala da pranzo
Era la sala da pranzo dei principi. Le pareti sono rivestite da una boiserie e il soffitto è in legno. Dalla porta in fondo si accedeva alle scale che conducevano al piano interrato dove vi erano le cucine e la cantina. Originariamente era presente una grande vetrata (bow-window) che si affacciava sulle aiuole del cortile interno, dove primeggiava un grande cedro, e sul grande parco all’inglese.

La Sala azzurra
Era la sala di rappresentanza della famiglia. Presenta un soffitto a volta a padiglione decorato con uccelli esotici e frutta all’interno di girali e motivi floreali su fondo dorato a simboleggiare l’abbondanza e la ricchezza del casato. Le pareti sono ricoperte da una tappezzeria a disegni floreali blu. In alcune parti mancanti è possibile osservare il colore azzurro originario delle pareti che dà il nome al locale. Le sovraporte e le cornici sono realizzate in legno color noce finemente intagliato.

La Sala Azzurra

La Sala Azzurra

 

La Sala rossa

Era la sala di conversazione e prende il nome dal colore della tappezzeria damascata. Sulla parete est è presente un affresco, raffigurante la Pietà sul Cristo morto, dipinto dal pittore Bernardino Campi intorno al 1580. Nella parete sud vi è un camino con rivestimento in marmo di Carrara e specchio con cornice marmorea sormontato dallo stemma della famiglia. Il pavimento alla veneziana è uno dei più decorati. Appeso al soffitto voltato a padiglione è ancora presente un maestoso lampadario in legno color bronzo con vetri colorati. Nelle lunette al di sotto delle unghie della volta sono dipinti dei personaggi idealizzati. Un balcone in pietra permetteva di affacciarsi al giardino inferiore all’italiana.

 

La Sala Rossa

La Sala Rossa

 

 

Pietà del Cristo morto, Bernardino Lanzani, 1580

Pietà del Cristo – Bernardino Campi, 1580

 

 

La Sala verde
La predominanza del colore verde nelle pitture parietali dà il nome all’ambiente. La volta dipinta presenta gli stemmi e le armi della famiglia Belgioioso alternati a riquadri e cornici neogotiche. La sala si affacciava a ovest verso il giardino all’italiana e a sud, tramite una portafinestra che conduceva a una scalinata in pietra, verso le mura ovest. Durante la permanenza del conte Antonio, la sala aveva funzione di sala da musica, in quanto erano presenti un armonium e un arpicordo.

 

La Sala Verde

La Sala Verde

 

La Pinacoteca Suzy Green Viterbo

Nella parte superiore del Castello, è presente la Pinacoteca Comunale deificata all’artista Suzy Green Viterbo.

Suzy Green Viterbo nacque nel 1904 a Il Cairo, in Egitto. Studiò a Parigi presso le accademie Julian, Colarossi, e de la Grande Chaumière. Ritornata nel paese africano, fece parte di Art and Liberty, eclettico gruppo di artisti di vaga influenza surrealista. Rimase in Egitto fino al 1956, quando fuggì con il marito a causa dell’insicurezza seguita all’indipendenza. Si stabilì quindi a San Colombano al Lambro per circa trent’anni. La sua abitazione – atelier, nei locali dell’ex macello in via Cesare Battisti, era sempre aperta a chi – giovani artisti, critici, curiosi – desiderava osservare l’artista all’opera. Artista poliedrica e dal respiro internazionale, si dedicò all’incisione e all’acquaforte, alla pittura e infine alla “plastoscultura”, termine da lei coniato per indicare la creazione di sculture partendo da materie plastiche. A proposito di questa, il grande incisore e critico d’arte Luigi Servolini, definì’ vere e proprie “invenzioni” le sue sculture, opere in cui lei dava “briglia sciolta alla fantasia, puntando talvolta sul primordiale”. Il suoi lavori furono esposti, in personali e mostre collettive, in tutto il mondo. Legatissima al Borgo di San Colombano, fu lei a promuovere qui l’estemporanea per la Festa delle Ciliegie e l’esposizione di quadri alla Sagra dell’Uva. Prima di trasferirsi a Roma, dove morì nel 1999, lasciò in dono un’importante parte della sua produzione al Comune di San Colombano, materiale che costituisce il nucleo centrale della collezione della Pinacoteca comunale a lei dedicata.

 

Pinacoteca Viterbo

Pinacoteca Viterbo

 

Suzy Green Viterbo - alcune opere

Suzy Green Viterbo – alcune opere

Brochure Pinacoteca

Il Castello – il Parco

IL PARCO

 

Si sviluppa sull’area dell’antico parco all’inglese dei principi Belgioioso realizzato a fine Ottocento.

Del 1832 è il progetto di sistemazione a parco del versante ovest redatto dall’architetto Carlo Caccia. Il parco si estendeva all’interno delle mura del ricetto e della rocca, e contava numerose conifere e ampi spazi a prato.
Nel parco si può ancora ammirare un esemplare secolare di Cedro della California (Calocedrus decurrens). È un albero della famiglia delle Cupressaceae originario dell’America settentrionale che può raggiungere i 60 metri di altezza; è chiamato anche cedro dell’incenso per il profumo delle sue resine.
Il parco attuale poco conserva dell’impianto originario del parco all’inglese: è frutto invece di interventi raffazzonati, con piantumazioni che hanno occultato visuali e prospettive e ne hanno svuotato il valore paesaggistico.

All’interno del parco è ancora presente una lapide che ricorda il luogo dove fu sepolta la cagnolina della principessa Matilde Belgioioso, moglie del principe Antonio Alberico. L’iscrizione sulla lapide recita:

“ALLA MIA CARISSIMA CAGNINA JOLIE
CHE DOPO 10 ANNI DI FEDELE AFFETTUOSA
E INTELLIGENTE COMPAGNIA
MORI’ IL 27 LUGLIO 1893″
P. MATILDE BELGIOIOSO

 

Parco del Castello - i fiori

Parco del Castello – i fiori

Parco del Castello - le Mura

Parco del Castello – le Mura

Parco del Castello - il pozzo

Parco del Castello – il pozzo

Il Portone

Fu costruito nel 1691 come arco di ingresso a una nuova cinta muraria che doveva essere costruita dai Certosini dopo aver ottenuto dal Re di Spagna Carlo II l’appellativo di “Borgo Insigne” per San Colombano.

La prima pietra del Portone fu posata il 27 luglio del 1691, dal Priore del Monastero, Giovanni Abbiate.
In virtù della sua ubicazione sulla strada che giungeva nel Comune di Lodi, inizialmente, il Portone, venne chiamato “Portone di Borgoratto sulla strada per Lodi”.
Porgendo le spalle al Castello, sotto il pilastro di destra dell’arco, furono murate una pergamena recante la data 27 luglio 1691, il nome di Giovanni Abbiate e una moneta d’argento con l’immagine di Carlo II di Spagna.

Un’iscrizione ricorda il soggiorno del Petrarca a San Colombano nel 1353 e la visita dell’imperatore Ferdinando I d’Austria e la consorte Maria Adelaide nel 1838. Dopo i restauri effettuati nel 1927, sull’arco vennero apposte queste parole:

“Questa porta, del Borgo dichiarato Insigne, da Carlo II Re di Spagna, aperta al respiro sereno di Lombardia, il Comune restaurava, votandola come casalingo arco di gloria, al trionfo delle armi italiane. MDCXCI MCMXXVII”

Il Portone

Il Portone

 

 

 

Il Lazzaretto

L’area del Lazzaretto nacque per ospitare gli ammalati e i morti per la peste che infierì su Milano e sull’Europa nel 1630.

La cappella dedicata a San Gregorio Magno, sorgeva al centro dell’area riservata alla cura ed alla sepoltura delle vittime del contagio

La struttura fu conservata per volere del parroco Ciserani e si costituisce come uno dei rari esempi di Lazzaretto ancora esistenti.

Il monumento, a pianta ottagonale, con portico – loggetta, si presenta come un piccolo gioiello architettonico.

Fu utilizzato come cimitero di San Colombano fino al 1936, quando venne edificato quello attuale presso la località Campagna. E’ poi divenuto luogo di sepoltura dei parroci.

Veduta del Lazzaretto innevato

Veduta del Lazzaretto innevato

Piazza del Popolo – Monumento ai Caduti

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Piazza del Popolo - Monumento ai Caduti

Piazza del Popolo – Monumento ai Caduti

 

MONUMENTO AI CADUTI
All’interno dell’attuale Piazza del Popolo, in passato Piazza Vittorio Emanuele II, sorge il Monumento ai Caduti. Inaugurato il 28 ottobre 1929, è il sacrario eretto in onore dei Banini che persero la vita in battaglia. La statua, che rappresenta la “Vittoria”, è opera dello scultore Cav. Marabelli.

L’affresco retrostante riproduce l’allegoria del valore militare attraverso le epiche lotte romane, medievali e moderne.

Le lapidi, poste ai lati, recano i nomi dei Banini caduti in battaglia.

A loro va il nostro pensiero e la nostra preghiera.

Di seguito l’articolo originale pubblicato il 1° Novembre 1929 sul mensile “Cronache Sancolombanesi” in occasione dell’inaugurazione del Monumento eretto in onore dei Banini caduti durante la guerra.

Cronache Sancolombanesi 1

Cronache Sancolombanesi 1

Cronache Sancolombanesi 2

Cronache Sancolombanesi 2

Palazzo Patigno

Già appartenuto ai Conti Rho, feudatari di Borghetto, verso la metà del XVII secolo il Palazzo venne venduto al nobile spagnolo Patigno. Più tardi divenne proprietà dell’avvocato banino Giuseppe Bianchi, dal quale nel 1869 il Comune lo acquistò per farne la sua sede. Tipica struttura gentilizia con pianta a L, presenta un porticato di ingresso colonnato e scalone padronale per l’accesso ai locali superiori.

La Sala Consiliare si trova nell’antico salone dei ricevimenti e nel 1982 fu dotata di pannelli dipinti da Onofrio Bramante, rappresentanti la vita di San Colombano dalle origini a oggi.

Palazzo Patigno ospita al suo interno il Museo Paleontologico e Archeologico “Virginio Caccia”, che raccoglie reperti preziosi emersi per la maggior parte durante scavi per lavori agricoli sul Colle di San Colombano. Il materiale in esposizione permette una piacevole e affascinante lettura dell’evoluzione del territorio collinare e delle specie vegetali e animali che si sono avvicendate.

 

Palazzo Patigno - ingresso Via G. Monti

Palazzo Patigno – ingresso Via G. Monti

Dipinti di Onofrio Bramante - Aula Consiliare

Dipinti di Onofrio Bramante – Aula Consiliare

 

Il Colle di San Colombano

Colle Brione - Viti

Colle Brione – Viti

 

Il “Colle di San Colombano”, si eleva tra la pianura lodigiana e la bassa pavese, in un territorio situato a circa 40 Km a sud di Milano e 30 Km a est di Pavia. Il terreno, che alterna zone sabbiose a zone calcaree, il sottosuolo ricco di minerali (come testimoniano le acque sorgive delle Terme di Miradolo e delle Fonti Minerali Gerette di San Colombano), l’esposizione al sole delle sue pendici, fanno del Colle un ambiente ideale e vocato per la coltivazione della vite.

Veduta collinare - alba

Veduta collinare – alba

 

La tradizione vuole che fu San Colombano, il monaco irlandese da cui il Borgo prende il nome, ad insegnare agli abitanti locali la coltivazione della vite, che da allora domina il paesaggio, la storia e la cultura del nostro Borgo.
Fin dall’epoca romana, come testimoniano i ritrovamenti in località Ciossone, la produzione di vino era praticata in terra banina.

La sua particolare collocazione geografica, unita alla splendida vegetazione, fanno del Colle Brione un luogo unico e meraviglioso.
Dal 1984, la qualità del nostro vino è stata riconosciuta con l’approvazione della Denominazione di Origine Controllata San Colombano. Il DOC San Colombano è riservato ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabili nel Disciplinare di produzione per la tipologia rosso e bianco.

Nel 1987 nasce il Consorzio di Tutela del Vino Doc San Colombano che garantisce ai consumatori la qualità dei vini a denominazione di Origine.

Sentiero collinare

Sentiero collinare

Casa Natale del Beato Don Carlo Gnocchi

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Qui nacque il 25 ottobre 1902 Carlo Gnocchi, terzo figlio di Clementina Pasta, sarta, e di Enrico Gnocchi, marmorino. Trasferitosi a Milano nel 1908, Carlo prese i voti e iniziò la sua attività sacerdotale nel milanese, sempre apprezzato e benvoluto da ragazzi e fedeli. Fu Cappellano dell’Università Cattolica di Milano e direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga. Nel 1940, don Carlo decise di andare in guerra e si arruolò come volontario: partì per l’Albania come alpino e in seguito partecipò alla campagna di Russia, vivendo la terribile esperienza bellica fino alla disastrosa ritirata del 1943. Sfinito, riuscì a rimpatriare e dopo il rientro si dedicò alle vittime della guerra e in particolare ai piccoli “mutilatini”, i bambini rimasti mutilati durante gli scontri. Con un ultimo atto di generosità, don Carlo Gnocchi in punto di morte donò le proprie cornee a due ragazzi ciechi (1956). E’ stato beatificato il 25 ottobre 2009 dal cardinale arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi.

 

Immagine del Beato don Carlo Gnocchi

Immagine del Beato don Carlo Gnocchi

 

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